viernes, 26 de junio de 2009

IO, LIONEL MESSI

ARTÍCULO PUBLICADO EN LA REVISTA SPORTWEEK EL 18 DE ABRIL DE 2009

Versión publicada en italiano

Siamo andati a Rosario, dove la stella del Barcellona è nata e cresciuta fino a 13 anni, a parlare con i suoi allenatori, la vicina di casa, la maestra...

«Scriveva Antoine de Saint-Exupéry: «L'unica patria degli uomini è l'infanzia». Allora bisogna venire a Ro­sario, Argentina, per scoprire Lionel Messi. Sì, la sua crescita è gran merito della Masía, la scuola calcio del Barcellona. Ma a Rosario Leo è nato, ha vissuto fino ai 13 anni, ha scoperto la pelota. Rosario è la culla del calcio argentino. Dal suo vivaio sonò venuti fuori Valdano, Batistuta, Sensini, Balbo, Pizzi, Mascherano e Samuel. Qui hanno iniziato i tecnici Bielsa e Menotti. E uno dei primi sudamericani ad approdare in Europa fu un rosarino, proprio dal Newell´s come Leo: Julio Libonatti, dal 1925 al 34 al Toro e poi al Genoa, e con l'Italia per 18 match (15 gol).
Sul fiume Paraná, 300 km a Nord di Buenos Aires, circa 1,2 milioni di abitanti, Rosario vive il fútbol con passione. Il Newell's Old Boys e il Rosario Central sono i club della A: per i derby la città si paralizza. Poi ci sono il Tiro Federal (in B) e il Central Córdoba (in C). E la città pullula di club minori. Fra i quali il Renato Cesarini, una delle scuole di calcio più note al Mondo, immette ogni anno circa 30 calciatori fra i pro. Non è strano che Leo sia venuto alla luce qui.




LA CULLA DI LEO
Il piccolo Lionel Andrés è nato il 24 giugno 1987 alla Clínica Italiana fra le mani del dott. Norberto Odetto, da mamma Celia e papà Jorge. Pesava 3,6 kg. Altro che piccolino... I vicini di casa, però, lo ricordano un po' rachitico, ma sempre di corsa dietro a una palla nella stradina Lavalleja del barrio La Bajada, Sud di Rosa­rio, dove Leo ha vissuto coi genitori, i fratelli Rodrigo e Matías, e la piccola María Sol. Ora solo Matías è rimasto a Rosario, gli altri sono a Barcellona. E tornano qui in vacanza, non più a La Bajada, ma nella villa di Arroyo Seco, a una decina di km. Rodrigo, più grande di Leo di 7 anni, sposato, lavora come chef a Barcellona. María Sol ha 15 anni e studia; le è costato molto andare in Catalogna e i primi tempi tornava spesso a casa, con la mamma. Matías ha avuto problemi: nell´ottobre scorso è stato fermato per detenzione illegale d'armi. É rimasto 9 ore in un commissariato, perché portava senza permesso una pistola con 5 proiettili. Già prima aveva avuto guai penali: coinvolto in una denuncia per furto nel 2000, in una per lesioni nel 2001 e per minacce l'anno dopo.
Anche se qui Leo ha vissuto solo 13 anni, di ricordi ne ha lasciati. Cintia Arellano, vicina di casa e compagna di Leo all'asilo e alle elementari, dice: «Era timido e silenzioso. Usciva solo per giocare a pallone in strada. Gli altri bimbi lo picchiavano in campo perché era rapido e abile, difficile da fermare. Quando cadeva in terra, piangeva un po' ma poi si rialzava e continuava correre. Si notava che era diverso dagli altri».
Il suo primo contatto con una palla in un campetto fu a 4 anni nel Grandoli, un quadrato di terra a qualche isolato da casa, fra edifici popolari. In assenza dello Stato il Grandoli brillava come un´àncora di salvezza. Qui Leo ha giocato fra i 4 e i 7 anni. Nel maggio 07 ci aveva raccontato Salvador Aparicio, suo primo tecnico, morto a 78 anni nel dicembre ´08: «A 4 anni Leo era già un talentino. Afferrava la palla e sfuggiva a tutti. È "nato imparato", non serviva dirgli nulla. L´unica cosa che ho fatto è stato metterlo per la prima volta in campo». Il "debutto" è dell'aprile 91. Ad "Apa" mancava un giocatore del 1986 per il match a 7; Leo è dell'87. «Nella tribunetta vidi Leo, piccolo, che calciava contro un muro. Era con mamma e nonna. Le dissi: "Me lo presti per giocare?". "Ma se quasi non sa correre...". E io: "Lo metto a destra, di lato alla linea, se si mette a piangere, tu sarai vicina e lo potrai prendere". Alla seconda palla Leo inizió a dribblare come se avesse sempre giocato». Oggi al Grandoli serpeggia una sensazione agrodolce verso Messi. «Non ha conservato alcun rapporto con noi», dice Oscar López, boss del club ai tempi di Leo. «Sei anni fa ci venne a trovare e portò dei palloni in regalo. Ma non è più tornato». Il club è povero, avrebbe bisogno di aiuto: «E di motivazioni. Se Messi venisse qui ogni tanto, ci permetterebbe di avvicinare più bimbi al club, levandoli dalla strada. La sua sola presenza sarebbe positiva per gli 85 ragazzi tesserati». Il Grandoli non ha mai ricevuto un peso per i diritti di formazione di Leo. «Ogni giorno è sempre più dura trovare i soldi per far sopravvivere il club», dice López.



I MESSI TUTTI "LEBBROSI"
I Messi tifano tutti per il Newell´s, tranne Matías che è del Rosario. I fan del Newell's sono i "lebbrosi" per­chè agli inizi del 1900 furono invitati a un match benefico per i malati di lebbra. E accettarono. Il Ro­sario rifiutò e fu chiamato "Canaglia". Leo va al Newell's nel 1995, a 7 anni, se ne andrà a 12. Qui per la prima volta, a 9 anni, gioca su un campo da 11. Oscar Morales è l´allenatore delle giovanili che più l'ha seguito, insieme hanno vinto 4 titoli argentini. Pure ora Morales lavora nel club e ci spiega, a proposito del noto pro­blema della carenza ormonale che rallentò la crescita di Leo: «Portai il coordinatore delle giovanili a casa Messi, per impegnarci ad aiutare la famiglia nelle costose cure che servivano a Leo. E così fu». Cosa che i Messi smentiscono (vedere il riquadro a destra). Dicono che solo la sanità pubblica e la cassa mutua dell'azienda di papà Jorge, la Acindar, li aiutò. Sergio Almiron, d.s. del Newell's, ha conservato le ricevute: «Noi riuscivamo a coprire tutte le spese, ma gli ab-biamo dato soldi ogni tanto, quello che potevamo». Poi ci fu un contatto fra i Messi e il River; Morales spiega che «Leo per un po' non venne ad allenarsi da noi, come ripicca per un trofeo che non gli avevano dato dopo un torneo vinto. Al River lo provarono 10 minuti e subito gli proposero di restare». I frainten-dimenti fra i Messi e il Newell's fecero sì che un giorno Jorge portò via Leo dal club. Nel´ 99 trovò un lavoro migliore, con la famiglia si trasferì in Spagna. Fra gli aneddoti che Morales ricorda su Leo c'é quel pomeriggio in cui arrivò tardi per una partita: suo padre aveva fatto gli straordinari al lavoro. «Tuo papà non gioca, potevi venire con un compagno», gli dissi.
«Vai in panchina». Il Newell´s perdeva 2-0. All'inizio del 2° tempo il 3-0. «Feci entrare Leo: realizzò 3 gol e ne fece fare un altro al n. 9. Non me lo posso scordare, era una semifinale. Segnò un gol dopo aver superato tutti. Come carattere non è cambiato: timido, introver­so, attento a ciò che gli dicevano i tecnici. Parlava poco, ascoltava tanto, non bisognava ripetergli le cose».

ALUNNO ESEMPLARE
Le elementari Leo le ha fatte alla n. 66 General Las Heras. Diana Ferreto è stata la sua maestra: «Era timido e dolce. Crescendo dimostrò le sue capacità. I bimbi più grandi lo venivano a chiamare perché giocasse con loro». L'ultima volta che Leo è passato di qui, nel 2007, creò il caos: «Non siamo riusciti a mantenere l´ordine, tutti volevano una foto, l´autografo». Da un banchetto scolastico e un campetto desolato alla gloria mondiale il passo è stato breve. E Rosario va molto orgogliosa della sua Pulce.

PAROLA DI PAPÀ
"Ma il Newell´s non ci aiutò"
Il fratello Rodrigo giocava nel Grandoli, «io lì allenavo i più piccoli, normale che Leo abbia iniziato là», dice papà Jorge. «Al Grandoli non avevo tempo per seguirlo, così pensai che in un club come il Newell´s sarebbe stato meglio». Ma a 11 anni Leo iniziò ad avere problemi nella crascita, ritardo nello sviluppo osseo per carenza ormonale. «Le cure erano costose, 1000-1500 dollari al mese, che non avevamo. E il Newell´s non volle aiutarci, al contrario di quanto el dissero all'inizio. Al River Leo piacque, ma si persero nella burocrazia». Dopo 2 anni, si va in Spagna. «A Lleida. c'erano del cugini, mi aiutarono. E a Barcellona trovai lavoro. II Barça mise Leo sotto contratto nel 2000, gli diede l´appartamento, lo fece studiare». Sacrifici tanti: «Si pensa: che fortuna avere un figlio campione. Ma non si sa quanto ha sofferto Leo fra medicine e palestra per 3 anni. L'ha aiutato l'amicizia dei ragazzi della Masía, la solidarietà di questo gruppo di ferro», iandi

LA SCHEDA
169 CM
PER 67 KG
CARTA D'IDENTITÀ
Lionel Messi è nato a Rosario Il24 giugno 1987 Dai 4 ai 7 anni al Grandoli, dai 7 ai 12 a Newell's Old Boys, è al Barcellona nel 2000, dopo le giovanili debutta nella Liga il 16-10-04 (a 17 anni).

BARÇA
In Liga ha giocato 104 partite, 50 reti (19 quest'anno), In Champions 28 (16 gol), in c. Re 15 (8), 1 in Supercoppa europea e 2 in quella spagnola: in totale 150 presenze e 72 gol. Ha vinto 2 Liga, la Champions '06,1 Supercoppa spagnola.

ARGENTINA
Ha esordito il 17-8-05 5 In Ungheria (1-2), espulso dopo 90 secondi per un fallo di reazione; in totale 36 match e 12 gol. Ha vinto il Mondiale Under 20 nel '05 e loro olímpico '08.




Versión original en castellano sin editar

“La única y verdadera patria de los hombres es la infancia”, afirmó alguna vez el francés Antoine de Saint-Exupery autor del célebre libro “El Principito”. Y tal vez sea cierto.
Lionel Messi es un astro indiscutido del fútbol mundial. Su formación profesional es producto, en gran medida, de La Masía, la mítica escuela de talentos del Barcelona FC. Pero también existe otra parte de la historia que es menos conocida aunque no menos importante: su infancia.
Compartiendo el sentimiento de Saint-Exupery, es necesario entonces conocer un poco Rosario, la ciudad natal de Messi. Allí tuvo su primer contacto con una pelota. Allí germinaron sus primeros sueños de fútbol e hizo las primeras proezas futbolísticas aún dando grandes ventajas físicas debido a los conocidos problemas hormonales que padecía. También en Rosario lo hicieron jugar por primera vez en una cancha de once, con apenas nueve años. Es decir, Messi llegó a España con varias nociones básicas adquiridas.
Así como hay ciudades reconocidas en el mundo por fabricar muy buenos automóviles, otras por sus métodos para elaborar bebidas alcohólicas o quesos exquisitos, Rosario es reconocida como la Capital del Fútbol Argentino. De la inagotable cantera rosarina surgieron, entre otros, Jorge Valdano, Gabriel Omar Batisuta, Roberto Sensini, José Chamot, Abel Eduardo Balbo, Juan Antonio Pizzi, Javier Mascherano, Martín Demichelis, Maxi Rodríguez y Walter Samuel. También entrenadores como Marcelo Bielsa y César Luis Menotti. Incluso el primer jugador sudamericano transferido a Europa es rosarino y de Newell´s Old Boys como Messi: Julio Libonatti, que jugó en el Torino entre 1925 y 1932 e integró la selección italiana en 18 oportunidades, convirtiendo 15 goles.
Rosario es una de las ciudades más importantes de la República Argentina. Está situada al centro-este del país y tiene una población aproximada de un millón doscientos mil habitantes. Es un lugar en el que se vive el fútbol con una intensidad y pasión únicas. Newell´s Old Boys y Rosario Central juegan en la primera División del fútbol argentino y son rivales clásicos. Cuando juegan entre sí se paraliza la ciudad y el resto del país está pendiente. Tiro Federal juega en la segunda división y tiene serias aspiraciones de ascender. En tercera está Central Córdoba y en la cuarta Argentino de Rosario. Además, existen varios clubes menos trascendentes y más pequeños diseminados por toda la ciudad. Por si esto fuera poco, está Renato Cesarini, una escuela de fútbol reconocida en el mundo. Es el club amateur más importante de Argentina y le provee al fútbol profesional de ese país un promedio de 30 jugadores por año, además de otros tantos que emigran a diferentes lugares del planeta.
Por todo esto, no resulta extraño que un jugador como Lionel Messi haya aparecido en una ciudad como esta.

EL DISTINTO
Lionel Andrés Messi nació el 24 de junio de 1987 en la Clínica Italiana de Rosario. El doctor Norberto Odetto fue quién atendió el parto de Celia Cuccittini de Messi y quién confirmó que Lio había nacido pesando 3,600 kilos.
Los vecinos lo recuerdan todavía muy esmirriado y pequeño pegándole a una pelota en la estrecha calle Lavalleja del barrio La Bajada, en el sur de la ciudad, dónde está ubicada la casa en la que vivió durante su niñez junto a sus padres, sus hermanos mayores Rodrigo y Matías, y a la más pequeña, María Sol. Actualmente todos viven en Barcelona menos Matías que se quedó en Rosario. El resto de los Messi regresa periódicamente para verlo y visitar también otros familiares. Cuando están en la ciudad ya no residen en La Bajada sino que tienen una muy bonita morada en Arroyo Seco, a diez kilómetros afuera de Rosario, dónde un gran muro resguarda su intimidad. Rodrigo está casado, es padre de familia y trabaja como chef en Barcelona. María Sol tiene 15 años y estudia. A ella le costó mucho adaptarse a Cataluña por eso en los primeros tiempos regresaba seguido con su madre. Con respecto a Matías, en octubre del año pasado fue detenido por portación ilegal de un arma de fuego. Estuvo nueve horas en una comisaría rosarina y se le abrió una causa penal por tener sin permiso un arma sin numeración y cargada con cinco proyectiles. Antes también había tenido inconvenientes penales. Estuvo implicado en denuncias de tres delitos cuya resolución judicial es desconocida: un caso de robo en 2000, uno de lesiones en 2001 y un hecho de amenazas en 2002.
Cintia Arellano, es vecina de la familia y compartió con Lionel el jardín de infantes y la escuela primaria. Más allá que perdieron contacto fluido, ella todavía lo recuerda con nitidez. “Era tímido y callado. Y sólo salía a la calle para jugar a la pelota. Le pegaban mucho los otros chicos porque era rápido y tenía mucha habilidad. Cuando se caía, lloraba un rato pero enseguida se paraba y seguía corriendo. Se notaba que era distinto”.
Su primer contacto con el balón fue a los cuatro años en el club Agrupación Infantil Abanderado Grandoli, que no es otra cosa que una cancha de tierra ubicada a quince cuadras de la casa de su infancia, insertada entre un conjunto de edificios lumpen del Fondo Nacional de la Vivienda. Un proyecto habitacional que pretendía erradicar las villas miseria pero que no cumplió su cometido. La desidia política y la falta de interés del resto de la sociedad hizo de esta zona un caldo de cultivo para la proliferación de las drogas, la prostitución y el delito. Como el Estado brilla por su ausencia, Grandoli aparece como un fósforo en medio de la oscuridad.
Allí jugó hasta los seis. “Ya era un jugador distinto. Me acuerdo que agarraba la pelota y eludía a todos. Jugaba siempre en categorías mayores y se destacaba mucho. Le pegaban duro, pero siempre fue un jugador con condiciones sobrenaturales, si se me permite la expresión. Nació sabiendo. Yo lo único que hice fue pararlo en una cancha”, contó hace unos años, Salvador Aparicio su primer entrenador, fallecido en diciembre de 2008.
Aparicio hizo “debutar” a Messi en 1991 porque le faltaba un jugador de la categoría ´86. El DT se encontró con Lionel cuando pateaba una pelota contra la tribuna de cinco escalones donde se ubican los familiares de los chicos. Había ido junto a su madre y su abuela materna para ver a uno de sus hermanos. Cuenta la leyenda que su mamá dudó pero que Aparicio la convenció diciéndole que lo pondría del lado de la tribuna porque si se ponía a llorar, ella estaba al lado para sacarlo. Pero no hizo falta porque en la segunda pelota que tocó empezó a gambetear para nunca más detenerse.
Sin embargo, en Grandoli quedó una sensación agridulce con Messi. “No tiene relación con el club. Se acercó hace alrededor de seis años y trajo unos balones pero nunca más volvió. En la historia del fútbol, se cuentan con los dedos los jugadores que recuerdan los lugares donde empezaron a jugar”, señala con un dejo de tristeza Oscar López, presidente del club en aquellos años. Grandoli tiene necesidades de todo tipo pero no pretende ayuda material perecedera sino un gesto que les permita trascender. “Se necesita mucha motivación para los chicos de esta zona. Si Messi anduviera por acá cada tanto, nos permitiría que se acerquen más niños y más gente a colaborar. Eso haría que se potencie la posibilidad de que surjan otros jugadores. Su sola presencia generaría muchas cosas positivas”, sostiene López que hoy preside la cooperadora que recauda fondos para el club. Y agrega: “Esto es como una familia, nos encantaría que volviera un hijo pródigo pero de ninguna manera queremos crearle una obligación. Esté o no él, nosotros tenemos que seguir funcionando para hacerle un bien a la comunidad. En este momento vienen a jugar 85 chicos al club”. Vale aclarar que Grandoli nunca recibió un solo centavo por derechos de formación del jugador. Más allá del poco tiempo que están a veces los jugadores, estos clubes son fundamentales para que los chicos tengan su primer contacto con un balón y para alejarlos de la calle. “Cada vez se hace más difícil conseguir los elementos indispensables, como las pelotas, para mantener abierto el club”, sostiene López.

LEPROSO
Los Messi son todos de Newell´s excepto Matías que es de Rosario Central. Hinchas y futbolistas de Newell's son conocidos como Leprosos porque a principios del siglo XX fueron invitados a celebrar un encuentro a beneficio de enfermos de lepra de la ciudad frente a Rosario Central. Los de Newell's aceptaron y recibieron entonces el apodo, mientras que sus adversarios no, y desde entonces se los conoce como Canallas. Con el tiempo el apodo tomó tanta magnitud que se transformó en un emblema para toda la gente de Newell's. Messi llegó al club en 1995 con ocho años y se fue a los doce. Oscar Morales es el entrenador las divisiones inferiores que más tiempo lo tuvo en Argentina. Morales todavía se desempeña en el club y aclara una situación sobre la que hubo muchas versiones: la ayuda que recibió en Argentina cuando debía tratarse por su problema de crecimiento. “Yo mismo llevé al coordinador del fútbol infantil a la casa de los Messi para que se comprometa a hacerse cargo del dinero que costaba el tratamiento de Lionel. Y así fue. Desde entonces, la escuela de fútbol de Newell´s se hizo cargo del tratamiento”. Con respecto a la posibilidad de jugar en River Plate, Morales explica que sólo fue una prueba y que inmediatamente lo quisieron fichar. “Lio no estaba viniendo a entrenar porque hubo un malentendido y no le habían dado un trofeo por un campeonato que había ganado. Entonces lo invitaron a probarse en River. Lo dejaron para lo último y apenas lo vieron jugar diez minutos. Pero enseguida le propusieron quedarse en el club, dónde nada sabían de su problema de salud”.
En el ámbito infantil Messi ya se destacaba pero a nivel institucional el club no se manejaba de manera desprolija y hasta se sospecha que de manera irregular. “Respeto la decisión de los padres de llevárselo porque con la dirigencia que había en ese momento en Newell´s no se que hubiera pasado. Si lo hubieran apoyado o si lo hubieran vendido antes”, cuenta Morales que continúa buscando talentos por todo Rosario.
En 1999 la familia Messi desaparece de Rosario sin avisar en el club y nadie sabía nada sobre su paradero. Jorge Messi había conseguido una oportunidad laboral superior a la que tenía en Argentina y partió rumbo a España con su familia. “Le perdimos el rastro durante un año y medio. Entonces aparece en la prensa la información de un joven rosarino que se destacaba en el Barcelona FC: era él”, recuerda Morales.
Una de las anécdotas deportivas más jugosas que vivió el entrenador sucedió una vez que Messi llegó tarde a un partido porque su padre no había salido a tiempo del trabajo. “Su papá no juega y usted podría haber venido con otro compañero. Va a ir al banco de suplentes porque se perdió la charla técnica”, le dijo Morales con picardía. Los chicos de Newell´s se fueron al entretiempo perdiendo 2 a 0. Ni bien arrancó la segunda parte el equipo contrario convirtió el tercero. Entonces ingresó Messi. “Esa tarde convirtió tres goles y le hizo hacer el cuarto al centrodelantero. No me olvido más de eso porque además era una semifinal”, recuerda Morales. “El sueño mío es que aparezca alguna vez por el predio del fútbol infantil y les deje un mensaje a los chicos. Él era de Newell´s y se entrenaba como ellos”, se ilusiona.
Con respecto a su forma de ser, no parece haberse modificado bastante respecto de lo que se ve por estos días. Tímido, introvertido y siempre muy atento a lo que le decían los entrenadores. “Era de escuchar mucho y de hablar poco. Además, no había que repetirle los conceptos porque los recordaba con facilidad”, asegura Morales.

UN ALUMNO EJEMPLAR
La etapa escolar primaria de Messi transcurrió en la escuela número 66 General Las Heras. Allí también lo recuerdan con mucho afecto. Una escuela del estado, bien cuidada que mantiene los mismos profesores que tuvo Lionel. Diana Ferreto fue su maestra de preescolar y tiene guardadas algunas fotos en el colegio porque permanentemente es visitada por la prensa internacional. “Lo recuerdo como un chico tímido y dulce. A medida que fue creciendo iba demostrando su habilidad. Los chicos más grandes lo buscaban para que integre sus equipos”, recuerda con emoción. Ferreto también destaca la presencia de la familia en la escuela y cuenta que en varias oportunidades se acercan cada tanto para averiguar si se necesitaba algo.
La escuela no es el mismo lugar después de Messi y todos están acostumbrados a recibir a la prensa para contar detalles de la vida de su célebre alumno. La última vez que estuvo allí fue en 2007 y las maestras se asustaron porque los chicos se descontrolaron con la presencia del astro. “No sabíamos como poner orden todos querían un autógrafo y una foto, fue una situación que nos desbordó”, dice Ferreto.
Parece increíble que en tan poco tiempo de vida, Lionel Messi haya tenido tantas experiencias disímiles, casi salidas de un cuento de hadas. De jugar en una cancha escondida en Rosario a convertirse en el futbolista más joven en convertir un gol en un encuentro de liga para el Barcelona. O de patear soportar las patadas en partidos callejeros a tener que soportarlas en un Mundial o en la Champions League. Y aunque la historia continúa su infancia ya fue escrita en Rosario.

RECUADRO NO PUBICADO
EN LOS GENES
Lionel Messi no es el único jugador de fútbol de la familia. Sus primos hermanos por parte materna, los Biancucchi también se destacan jugando al fútbol. Maximiliano es una de las figuras del Flamengo de Brasil. Tiene 24 años y juega de atacante. Su hermano Emmanuel es centrocampista y tiene 20 años. Integra la plantilla del 1860 de Munich y tiene una relación de amistad con Lionel, quién incluso le ha dedicado algunos goles. “El está por arriba de todos, en lo único que coincidimos futbolísticamente es en que somos zurdos”, dice Emmanuel. También en la dinastía aparece, Bruno que apenas supera los diez años y en Renato Cesarini hablan maravillas de él.

viernes, 19 de junio de 2009

ALGUNOS VIDEOS DE LA CHAMPIONS LEAGUE

Más allá de que ya pasó un tiempo de la final de la Champions League vale la pena que publique algunos videos que no pude subir antes por problemas técnicos. Más allá de que la calidad no es la mejor, se pueden observar detalles que no se vieron en otros medios. Lo puntillosa que fue la organización, lo espectacular de la fiesta, el marco imponente y parte del festejo, entre otras cosas para compartir.